FEDERICO MOMPELLIO

 

«UN CERTO ORDINE DI PROCEDERECHE NON SI PUO' SCRIVERE»

 

da Scritti in onore di LuigiRonga,Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1973

 

I testi musicali del Cinquecento, ben sappiamo,tacciono quasi assolutamente sulla dinamica e circa il tempo nulla recano piùdell'orientativa indicazione per lo stacco implicita nei segni dell'ordinemensurale. D'altra parte non pochi teorici coevi raccomandano all’esecutore direndere perspicuamente il carattere della musica e in quest’avviso giungono avolte fino a consigliare opportuni mutamenti sia nell'intensità sonora che insenso agogico lungo una medesima composizione.

Di tali consigli ho qui riunito, in ordinecronologico, quelli che stimo più significativi entro l'area italiana perriproporre con la parola stessa degli antichi il tema dell’esecuzioneespressiva nel secolo XVI.[1] Non alla novità dei brani ho miratonell’apprestare questa sorta di florilegio, bensì alla forza persuasiva delloro insieme; naturalmente nella realtà il problema non è ristretto a quelsecolo e al nostro paese, ma ovvie ragioni esterne mi hanno indotto a rimanerein quei confini. Alcune citazioni le ho volute più ampie del necessario peradombrare meno poveramente la vita che anima i contesti cui esse appartengono ela civiltà onde quelli sono frutto e documento.

Il risultato potrebbe anche servire a esecutoriche non disdegnino almeno gli ammaestramenti offerti dalla storia.

 

Per avviarci, valga una testimonianza indiretta.«Bella musica parmi il cantar bene a libro sicuramente e con bella maniera»,dichiara messer Federico Fregoso in un suo intervento nel Cortegiano (pubblicato per la prima volta nel I528, illibro era stato però compiuto circa dieci anni avanti), «ma ancor molto più ilcantare alla viola perché tutta la dolcezza consiste quasi in un solo, e conmolto maggior attenzion si nota ed intende il bel modo e l'aria non essendooccupate le orecchie in più che in una sol voce, e meglio ancor vi si discerneogni piccolo errore; il che non accade cantando in compagnia perché l'uno aiutal'altro. Ma sopra tutto parmi gratissimo il cantare alla viola per recitare; ilche tanto di venustà ed efficacia aggiunge alle parole, che è gran maraviglia».[2]

Il conosciutissimo passo, motivo a varieosservazioni, ritorna qui solo per avvalorare l’accenno d'un altrointerlocutore del Cortegiano alle differenti virtù liriche di cantori egregi.L'occasione si presenta al conte Ludovico da Canossa quando, lodati «bensommamente coloro che sanno imitar quello che si dee imitare in altri» nelloscrivere, egli confessa però di non credere «impossibile scriver bene ancorsenza imitare», addita quale «vero maestro» di grandi come il Petrarca e ilBoccaccio «l’ingegno e il lor proprio giudicio naturale» e continua: «Vedete lamusica, le armonie della quale or son gravi e tarde, or velocissime e di novimodi e vie; nientedimeno tutte dilettano, ma per diverse cause, come sicomprende nella maniera del cantare di Bidon,[3] la qual è tanto artificiosa, pronta, veemente,concitata e de così varie melodie, che i spirti di chi ode tutti si commoveno es'infiammano e così sospesi par che si levino insino al cielo. Né men commovenel suo cantar il nostro Marchetto Cara,[4] ma con più molle armonia; ché per una viaplacida e piena di flebile dolcezza intenerisce e penetra le anime, imprimendoin esse soavemente una dilettevole passione».[5]

Non vedo ragione per non prestar fede alla prosadi messer Ludovico su Marchetto e Bidon; a parer mio, essa rende con incisiveimmagini casi che attengono alla materia di questa ricerca.

Le dieci «regole» che Giovanni Maria Lanfrancoscrisse «per lo cantante»[6] delle cappelle di chiesa sono direttesostanzialmente al novellino e al tipo di routinier da sempre giudicato«iumento similis»,[7] poiché vertono su obblighi preliminari e sonotrasparenti aforismi (state fermi col corpo, non emettete la voce «con moltofurore», suonano ad esempio la nona e la settima istruzione). Con la regolaterza fa capolino il tema nostro: «si dè cercare di concordare la voce con lasentenza delle parole accioché le cose allegre non siano cantate con la vocelamentabile, né per lo contrario» (ritroveremo sovente questa massima). Sebbeneriguardi il tactus, laprescrizione successiva non ci interessa; necessita senza dubbio «osservare etmantenere la equalità della misura così nel canto fermo, come nel figurato, etquesta è di molta importanza in quello per gli contrapuntisti et in questoperché misurato si chiama», ma in tal caso l’insegnamento non significa più delvai a tempo che rivolgeremmoa un esecutore metricamente impreciso.

D'altronde per l’autore, non dimentichiamolo,«il cantante dè aver diligenza et cura di piacere col suo cantare più a Iddioche agli uomini» (regola decima); per sua natura la musica da chiesa richiedevamaggior «equalità» nella «battuta».

 

«Tutti li instrumenti musicali sono, rispetto etcomparazione ala voce umana, manco degni; pertanto noi li afforzeremo da quellaimparare et imitarla», premette il Ganassi al discepolo di flauto[8] e gli spiega: «Quanto al fiato, la voce umanacome magistra ne insegna dover essere proceduto mediocralmente, perché quandoil cantor canta alcuna composizion con parole placabile, lui fa la pronunciaplacabile, se gioconda e lui con il modo giocondo. Però volendo imitar simileeffetto si procederà il fiato mediocro acciò si possa crescere e minuir ali suitempi».[9]

L'alunno si eserciti dunque per poter ottenere«effetti [ ... ] suavi et vivaci sì come fa la voce umana», e in tale imitazione pervenga a «prontezza estrema» nel saper «prima procedere con fiatoquietissimo et dapoi con uno fiato superbissimo; [ ... ] et volendola alquantotemperare», aggiunge il maestro, «procederai con uno fiato mediocre et dapoiaugumentarai tal fiato più e manco secondo le occasione, sì che per tale esperienzasarai chiaro de ogni vario effetto necessario».[10] All'imitazione e alla prontezza l'allievo unirà opportunamente la galanteria,che «deriva e nasie dal tremulo del dito in su la voce di esso flauto» (è unornamento che dal trillo spazia al tremolo di due suoni); «vivace etaugumentata sarà quella che farà il variare d'una terza o più o manco, et lamediocre opera la quantità d'uno tuono e manco; la suave over placabile saràquella che variarà uno semituono et più e manco parte d'un semituono».[11] L'autore non indica dove convenga inserirequesto fregio nella melodia, ma è verosimile ch’egli pensasse a valori d'unacerta durata e di spicco melodico; si noti l'allusione a microintervalli e comela galanteria debba essere«vivace» o «mediocre» o «suave» seguendo l’imitazione.

Alla fine il trattato[12] ribadisce ed amplia il concetto iniziale;«sappi», si ripete all’esordiente, «che il maestro tuo sarà el suficiente etperito cantore, come tu sai: il quale, quando a lui è anteposto canto alcuno,prima considera sanamente la natura delle parole di essa composizione, cioè seditte parole sono di natura alegra lui con il suo modo et voce alegra overvivace, et se sono lamentevole et placabile, et alora lui tal prononzia rimovein suave et lamentevole modo; sì che procederai se le parole saranno suave etlamentevole con il tuo sonare ancora lamentevole, se alegre con il sonar alegroet vivace. Et di qua nascerà secondo che per il passato intendesti lo imitaredella voce umana».[13]

Due deduzioni possiamo trarre: al flautista ilGanassi raccomanda un’esecuzione espressiva da modellare su quella del cantore,che a sua volta doveva plasmarla secondo lo spirito del testo poetico-musicale.

 

Alcuni anni più tardi, per chi intenda suonar laviola il medesimo strumentista così tratta Del movimento della persona: «Per il capitolo precedente s'ha ammaestratoil tenir la viola et aggiutar la persona acciò stia sucinta con movere ilbraccio et mano; et è di necessità per duoi raggioni doversi  movere con la persona: uno per non pareressere di pietra, l’altra per causa della musica ben composta su le parole.Però il movere suo serà proporzionato alla musica ben formata su le parole,dove se la musica serà mistevole per parole tal ancora gli membri farà la suamovenza conforme, e l’ochio come principal in giustificar la conforme movenzaserà compagnato dal petto[14] e bocca e mento della faccia et il colloappressati alla spalla più e manco secondo il bisogno a simile suggetto formatoa tal parole. Così nelle parole aver musica allegra come parole e musica mestaet hai da calcar l'arco forte e pian e talvolta né forte né pian, cioèmediocramente: come serà alle parole e musica mesta operare l’archetto conleggiadro modo et alle fiate tremar il braccio dell’archetto e le dita dellamano del manico per far l’effetto conforme alla musica mesta et afflitta; ilcontrario puoi debbe operar con ditto archetto, che è alla musica allegracalcar l'arco con modo proporzionato a tal musica. Et a questo modo verrai afar la movenza et con dar il spirito all'istromento con proporzion conforme adogni sorte di musica, e questo discorso ti basterà volendo io seguitar labrevità.

Molte cose si patria dire, ma questo ti basterà:perché se tu lo considerarai di molto verrai in cognizione che restaraicontento. E questo mio raggionamento è in tanto proposito et necessario, quantoè nell’oratore audacia, esclamazion, gesti, movimenti et alle volte imitar ilridere et il pianger per la conformità della materia et altre cose conveniente.E se tu poni la raggione in regola non trovarai che l’oratore rida per leparole del pianto, il simile il sonatore alla musica allegra non praticaràl’archetto leggier e movimenti simili e conformi alla musica mesta, perchél’arte non imiteria la natura et seguiteria il denigrar il vero effettodell’arte che è d'imitar la natura; però il si debbe sempre imitar l’effetto inmusica cavato dalle parole con tutte le circonstanze sopraditte».[15]

Alle conclusioni ricavate dai passi della Fontegara questo brano conduce pure là dov’esso non riescelimpido; alludo non tanto al «tremar» delle dita della mano sinistra, nel qualesi può scorgere una specie di vibrato, quanto al «tremar» dell’arco: una fraseambigua, che fa congetturare anche il tremolo misurato o libero d'una solanota. Ambedue le opere prevedono le sonorità «forte» e «pian» e «talvolta néforte né pian», il pronto passaggio dall’una all’altra, il sonare «mesto,lamentevole» e quello «allegro, vivace», arricchiti sul flauto con appropriate galanterie. Simili apporti non si effettuavano di certocon minuziosa frequenza; verosimilmente accorrevano a differenziarenell'insieme un episodio da un altro entro una composizione e il loro impiegocapillare sottolineava invece articolazioni primarie della forma (così lecadenze decisive) o era voluto da casi speciali (come quello dell’eco).

In ogni modo, pur doverosamente ricondotte allaloro epoca e intese nell’originaria purezza, quelle fonti hanno un significatofondamentale inequivocabile; teorici successivi lo arricchiranno e lo preciserannoper taluni aspetti.

 

A un procedimento dinamico accenna di sfuggitail Dialogo secondo di LuigiDentice: uno spunto in un ragguaglio così vivo da meritar citazione.[16]

Uno splendido giardino copioso di piante ed'acque (padron di casa Colantonio Colonna, marchese di Vico) due volteaccoglie a trattar di musica Paolo Soardo e Giovanni Antonio Serone. Al secondoconvegno il Soardo si fa attendere «due grand’ore» per aver ascoltato presso la«divinissima signora donna Giovanna d'Aragona» concenti meravigliosi e ildiscorso inizia quindi con la relazione, arguta, sugli esecutori testé sentiti.

 

SOARDO. I musici furono messer Giovanlonardodell’Arpa napoletano, messer Perino da Firenze, messer Battista siciliano etmesser Giaches da Ferrara.[17]

SERONE. Tutti questi ho intesi più volte etcerto ognun di loro nel suo stormento (a mio giudizio) ottiene il primo luogo.

SOARDO. Dite la verità. Quei che cantaron fu ilsignor Giulio Cesare Brancazzo, il signor Francesco Bisballe conte di Briatico,messer Scipione del Palla et un altro che cantava il soprano che non mi piacquemolto, ma per la bontà et perfezione dell'altre voci si potea patire.[18]

SERONE. Certo la deve essere stata una bella etnon mai più udita musica, perché i tre che’m'avete nominati son perfettissimimusici et cantano miracolosamente.

SOARDO. Non si può dire il contrario.

SERONE. Il soprano chi fu? Puos si dire?

SOARDO. Perdonatemi, basta che non mi piacque:perché pochi musici si trovano che cantano sopra gli stormenti, di quelli dicoi quali ho intesi, che m'abbian finito di contentare.

SERONE. Per che ragione?

SOARDO. Perché tutti errano in qualche cosa: onella intonazione o nella pronunziazione, o nel sonare o nel fare i passaggi,overo nel rimettere et nel rinforzar la voce quando bisogna; le quali coseparte per arte, parte per natura s'acquistano.

 

Nell’illuminare l’antico, pagine come questacontribuiscono ben altrimenti degli scilòmi largiti anche allora dai trattati emeglio sarebbe se non scarseggiassero. Purtroppo il Soardo elenca lemanchevolezze dei cantori come ribadendo cose assai note e non specifica quandobisognasse «rimettere» (ossia diminuire) e «rinforzar la voce»; il brano stessoè interlocutorio, garbato diversivo avanti la ripresa dei seriosi ragionari.

 

Ampia, ragguardevole, molteplice latestimonianza di Nicola Vicentino: il capitolo della sua opera teoricaintitolato Regola da concertare cantando ogni sorte di composizione (oggi diremmo: come prestabilire un'esecuzioneperché risulti appropriata e sicura di fronte all'uditorio).[19] Se a prima vista l'originale può apparirealquanto confuso, presto ci si avvede ch'esso contempla ordinatamente vari latidel tema; penso di agevolare il lettore sezionando l'importantissimo testonelle sue logiche parti.

L'iniziale invito a rendere il carattere d'ognimusica distinguerà la prima tappa:

«Differenti sono le composizioni secondo chesono i suggetti sopra che sono fatte; et alcuni cantanti molte volte nonavvertiscano, cantando, sopra che sia fatta la composizione et cantano senzaalcuna considerazione et sempre a un certo suo modo, secondo la sua natura etil suo uso. Et le composizioni che sono fatte sopra varij suggetti et variefantasie portano seco differenti maniere di comporre, et così il cantante dèconsiderare la mente del poeta musico et così del poeta volgare o latino etimitare con la voce la composizione et usare diversi modi di cantare come sonodiverse le maniere delle composizioni. Et quando userà tali modi sarà giudicatodagli oditori uomo di giudizio et di avere molte maniere di cantare. Etdimostrarà esser abondante et ricco di molti modi di cantare con ladisposizione della gorgia o di diminuire accompagnata con le composizioni,secondo li passaggi in suo proposito. Ma sono alcuni cantanti che agli oditoridimostrano il suo poco giudizio et poca considerazione quando cantano, et cheritrovano un passaggio mesto lo cantano allegro et poi per il contrario quandoil passaggio è allegro lo cantano mesto. Questi tali avvertiranno che lediminuzioni quando sono fatte nei luoghi debiti et in tempo paiono moltobuone».

Circa l'impiego di esse il Vicentino scevera ilcaso della monodia su base strumentale da quello della trama polifonica persole voci:

«Quelle si debbono usare a più di quattro voci,perché la diminuzione sempre perde assai consonanze et acquista moltedissonanze; ancora che paia delicata all'oditore non prattico di musica,nondimeno è di perdita di armonia et accioché l'armonia non si perdi et che labella disposizione del diminuire si possi dimostrare dal buon cantante nellecomposizioni, sarà molto buona tal diminuzione nelli stromenti:[20] i quali sonaranno la composizione giusta senzadiminuire et come sarà notata, perché con la diminuzione non si potrà perderl'armonia ché lo stromento terrà le consonanze nei suoi termini. Ma quando ilsonatore diminuirà la composizione et colui che canterà vorrà insieme diminuirela composizione che si sonerà et che si canterà, se ambo due diminuiranno in untempo non facendo un passaggio medesimo insieme, d'accordo, non faranno buonoaccordo; ma quando saranno ben concertati, faranno buono udire.[21] Poi nelle composizioni che si canteranno senzastromenti le diminuzioni saranno buone nelle composizioni a più di quattrovoci, perché ove mancherà una consonanza l’altra parte la rimetterà o conl'ottava o con l’unisono et non li rimarrà povertà d'armonia: perché ilcantante andrà rivolgendo per le parti or con unisoni, or con seconde et terzeet quarte et quinte et seste et ottave, toccando or in una parte et or inl’altra con varie consonanze et dissonanze, le quali per velocità del cantarepaiono buone et non sono. Et ogni cantante avvertirà quando canteràlamentazioni o altre composizioni meste di non fare alcuna diminuzione, perchéle composizioni meste pareranno allegre; et poi per l’opposito non si dècantare mesto nelle cose allegre così volgari, come latine».

Seguono alcune righe d'eccezionale importanza,contenenti l’aforisma scelto per motto di questo florilegio:

«Et s'avvertirà che nel concertare le cosevolgari, a voler fare che gli oditori restino satisfatti, si dè cantare leparole conformi all’oppinione del compositore et con la voce esprimere quelleintonazioni accompagnate dalle parole con quelle passioni ora allegre, orameste et quando soavi et quando crudeli, et con gli accenti aderire allapronunzia delle parole et delle note; et qualche volta si usa un certo ordinedi procedere, nelle composizioni, che non si può scrivere: come sono il dirpiano et forte, et il dir presto et tardo, et secondo le parole muovere lamisura per dimostrare gli effetti delle passioni delle parole et dell’armonia».

Tersissimi consigli, ogni commento ai qualicredo superfluo. Sull’avviso di cambiare opportunamente il tempo s'intrattienequindi a lungo il capitolo:

«Ad alcuno non li parrà cosa strana tal modo dimutar misura tutti a un tratto cantando, mentre che nel concerto s'intendinoove si abbi da mutar misura, che non sarà errore alcuno; et la composizionecantata con la mutazione della misura è molto graziata con quella varietà, chesenza variare et seguire al fine. Et l’esperienza di tal modo farà certoognuno; però nelle cose volgari si ritroverà che tal procedere piacerà più aglioditori che la misura continua sempre a un modo. Et il moto della misura si dèmuovere secondo le parole più tardo et più presto; et se bene si consideranelle composizioni che nel mezzo et nel fine si muove la misura con la proporzionedi equalità, avvenga che alcunisono d’oppinione che battendo la misura alla breve non si dè mutare misura, etpur cantando si muta. Et non è gran male; et come cessa la proporzione diequalità si ritorna in un'altra misura, siché per l’uso già fatto non èinconveniente la mutazione della misura in ogni composizione».

In questo brano, dove ben lucida risulta l'ideafondamentale (la massima di variare assennatamente il tempo), il senso non miriesce sempre ugualmente chiaro. Allorché l'autore scrive: «la composizionecantata con la mutazione della misura è molto graziata con quella varietà, chesenza variare et seguire al fine» credo esatto intendere: l'esecuzione in cuisaviamente si cambia il tempo è più gradevole di quella dov'esso vien mantenutouguale sino alla fine. Ma più avanti i dubbi crescono, perciò sottopongo algiudizio del lettore la mia interpretazione, cui necessita una premessa. Lapolifonia si diceva in proporzione di equalità se l’ordine mensurale era ilmedesimo in tutte le voci (ad esempio:  atutte le voci). Nel suo trattato il Vicentino ricorre a quella dicituraspecialmente in un caso: quando al regime del   subentra in tutte le voci d'una polifonia la sesqualteratemporis, per cui «i pratticicompositori fanno cantare tre semibrevi contra altre tre», non «tre contradue»; secondo il nostro teorico, in questa forma la proporzione subentrante è«mal detta sesqualtera» e deve denominarsi di equalità per l'esposta ragione.[22] Con tale chiave si può forse spiegare ilperiodo astruso. Allorché «nel mezzo» o «nel fine» d'una pagina polifonica sipresenta una transizione dal metro binario al ternario simile a quelladell'esempio musicale che accompagna il suddetto ragionamento:

 

 

 

 

 

 

«avvenga che alcuni sono d'oppinione chebattendo la misura alla breve non si dè mutare misura (ossia costoro mantengonouguale nei due ordini la durata della brevis, unità di tactus), «pur cantando si muta» eprecisamente «si muove la misura» (cioè si batte un poco più veloce il tactus edunque la brevis). Cosìcredo intenda il Vicentino, che conclude: «et non è gran male; et come cessa laproporzione di equalità» (il metro ternario) «si ritorna in un'altra misura,siché per l'uso già fatto non è inconveniente la mutazione della misura in ognicomposizione».

Favorevole alla «mutazione della misura» perrendere «graziata» l'esecuzione, ad appoggio della propria tesi egli ha insommacitato un'usanza allora ben viva, per noi sepolta. Non ho la pretesa d'averfatto centro e sono pronto ad accogliere ipotesi più verosimili; si trattacomunque d'una oscurità laterale, che non nuoce all’argomento precipuo.

Segue il paragone d'obbligo con l'oratore:

«Et la esperienza dell’oratore l'insegna che sivede il modo che tiene nell'orazione: che ora dice forte et ora piano, et piùtardo et più presto, e con questo muove assai gli odi tori ; et questo modo dimuovere la misura fa effetto assai nell’animo, et per tal ragione si canterà lamusica alla mente per imitar gli accenti et effetti delle parti dell'orazione.Et che effetto faria l’oratore che recitasse una bella orazione senza l'ordinedei suoi accenti et pronunzie et moti veloci et tardi et con il dir piano etforte; quello non muoveria gli oditori. Il simile dè essere nella musica:perché se l’oratore muove gli oditori con gli ordini sopradetti, quantomaggiormente la musica recitata con i medesimi ordini accompagnati dall'armoniaben unita farà molto più effetto».

I cantori non avrebbero brillato per esattezzad'intonazione, par sottintendere il paragrafo successivo, e si chiede loro dialmeno concordare quel «certo ordine di procedere che non si può scrivere»:

«Et l’esperienza dell'organo insegna chesolamente con l’intonazione delle voci accompagnate dalle consonanze senzapronunzia di parole fa mirabil udire; o quanto sarebbe fuore di modo eccellentela musica se i cantanti potessero con la pronunzia delle voci et delle parole intonareet cantare una composizione così giusta come fa l'organo. Ora se quelli nonpotranno usare tal giusta intonazione, almeno non useranno diligenza diaccordarsi più che potranno nei loro concerti».[23]

 

L'esecuzione a memoria conseguirà ben altrorisultato di quella «a libro»: «Et quando la musica sarà cantata alla mente,sarà molto più graziata che quando sarà cantata sopra le carte; et si piglieràl’essempio dalli predicatori et dagli oratori: che si recitassero quellapredica et quella orazione sopra una carta scritta, quelli non avriano négrazia, né audienza grata, perché i sguardi con gli accenti musicali muovenoassai gli oditori quando sono ininsieme accompagnati, et le belle et dottecomposizioni muoveno assai più quelli che di tal professione sono esperti cheli non prattici et solamente naturali et privi del giudizio artificioso, ilquale si racquista con assai fatica».

Infine, un precetto da non dimenticare per unabuona intonazione:

«Et il cantante che canterà il basso avvertiràdi accordare bene con l’ottave di tutte le parti, ché il concerto di tutteverrà molto perfetto, perché ivi sta tutto il continente del perfetto accordo».

Le indicazioni di questa prosa mi appaionoinoppugnabili. Se miei contemporanei scrupolosissimi stimeranno vaga la normache il passaggio «allegro» dev'essere cantato «allegro», «mesto» quello«mesto», se giudicheranno preconcetta l’idea che il diminuire trasformi in«allegra» una musica «mesta», dovrebbero almeno sospettare del proprio riserboal sapere di «un certo ordine di procedere che non si può scrivere» e che vienespiegato come «il dir piano et forte, et il dir presto et tardo, et secondo leparole muovere la misura per dimostrare gli effetti delle passioni delle paroleet dell’armonia». Lo afferma un teste peritissimo quanto a esperienze musicali.

 

Nel primo dei suoi trattati lo Zarlino dedicauna parte d'un capitolo a «quelle cose che appartengono al cantore»; un brano,come le regole del Lanfranco, per gli sconsiderati somari e boriosi in cui lamusica incappava spesso (non scarseggiano davvero le lagnanze al proposito).Tra le raccomandazioni del maestro chioggiotto poche valgono per i nostri fini;tuttavia riporto l’intero passo perché quadro colorito di tenaci ostacoli allabuona pratica dell’esecuzione.[24]

«Quelle cose che appartengono al cantore sonoqueste. Primieramente dee con ogni diligenza provedere nel suo cantare diproferire la modulazione in quel modo che è stata composta dal compositore, etnon fare come fanno alcuni poco aveduti, i quali, per farsi tenere più valentiet più savi degli altri, fanno alle volte di suo capo alcune diminuzioni tantosalvatiche (dirò così) et tanto fuori di ogni proposito, che non solo fannofastidio a chi loro ascolta, ma commetteno eziandio nel cantare mille errori:conciosiaché alle volte vengono a fare insieme con molte discordanze due o piùunisoni o due ottave overamente due quinte et altre cose simili, che nellecomposizioni senza alcun dubbio non si sopportano. Sono poi alcuni, che nelloro cantare fanno alle volte una voce più acuta o più grave di quello che è ildovere, cosa che non ebbe mai in mente il compositore, sì come in luogo delsemituono cantano il tuono o per il contrario, et altre simili cose; laonde nesegue dipoi errori infiniti, oltra l’offeso del senso. Debbeno adunque licantori avertire di cantar correttamente quelle cose che sono scritte secondola mente del compositore, intonando bene le voci et ponendole ai loro luoghi,[25] cercando di accommodarle alla consonanza etcantare secondo la natura delle parole contenute nella composizione in talmaniera, che quando le parole coritengono materie allegre debbeno cantareallegramente et con gagliardi movimenti, et quando contengono materie meste,mutar proposito. Ma sopra il tutto (accioché le parole della cantilena sianointese) debbono guardarsi da uno errore che si ritrova appresso molti, cioè dinon mutar le lettere vocali delle parole: come sarebbe dire proferire A inluogo di E, né I in luogo di O overo U in luogo di una delle nominate, ma debbonoproferirle secondo la loro vera pronunzia. Et è veramente cosa vergognosa etdegna di mille reprensioni l'udir cantare alle volte alcuni goffi tanto nellicori et nelle capelle pubbliche, quanto nelle camere private, et proferir leparole corrotte quando dovrebbeno proferirle chiare, espedite et senza alcunoerrore; laonde dico, che se (per cagione di essempio) udimo alle volte alcunisgridacchiare (non dirò cantare) con voci molto sgarbate et con atti et moditanto contrafatti, che veramente parino simie, alcuna canzone et dire comesarebbe Aspra cara e salvaggia e croda vaglia quando doverebbeno dire: Aspro core eselvaggio e cruda voglia, chinon riderebbe? anzi (per dir meglio) chi non andrebbe in còlera udendo una cosatanto contrafatta, tanto brutta et tanto orrida?

Non debbe adunque il cantore nel cantare mandarfuori la voce con impeto et con furore a guisa di bestia, ma debbe cantare convoce moderata et proporzionarla con quelle degli altri cantori, di maniera chenon superi et non lassi udire le voci degli altri, laonde più presto si odestrepito che armonia. Conciosiaché l’armonia non nasce da altro, che dallatemperatura di molte cose poste insieme in tal maniera, che l'una non superil’altra. Averanno eziandio li cantori questo avertimento, che ad altro modo sicanta nelle chiese et nelle capelle publiche, et ad altro modo nelle privatecamere: imperoché ivi si canta a piena voce, non però se non nel modo detto disopra, et nelle camere si canta con voce più sommessa et soave, senza farealcun strepito. Però quando canteranno in cotali luoghi, procederanno congiudizio acciò non siano poi (facendo altramente) degnamente biasimati. Debbenooltra di questo osservare di non cantare con movimenti del corpo né con atti ogesti tali che induchino al riso chi loro vedeno et ascoltano, come fannoalcuni, i quali per sì fatta maniera si muoveno, il che fanno eziandio alcunisonatori, che pare veramente che ballino. Ma lassando ormai cotesta cosa da uncanto, dico che se 'l compositore et li cantori insieme osserveranno quellecose che appartengono alloro officio, non è dubbio che ogni cantilena saràdilettevole, dolce, soave et piena di buona armonia et apporterà agli uditorigrato et dolce piacere».

Aggiungiamo così una conferma, per verogenerica, alla norma d'eseguire «allegro» o «mesto» secondo opportunità el'orientatrice distinzione fra canto «a piena voce» nei luoghi vasti («chieseet capelle publiche») e canto «con voce più sommessa et soave» nelle «privatecamere».

Nel capitolo sulla «possanza della musica loZarlino implicitamente suffraga il particolare compito dell'esecutore nelprocesso musicale. Meravigliosi risultati si ottenevano in tempi aurei, eglidichiara, per il saggio concorso di quattro elementi: l’armonia (l'ordine dei suoni), il numero (il metro del verso), la narrazione (il parlare «di alcuna cosa, la qualecontenesse alcuno costume») e il soggetto (l'ascoltatore «ben disposto, atto a ricevere alcuna passione»).«Il parlare da sé senza l’armonia et il numero ha gran forza di commuoverl’animo», prosegue l’autore seguendo i classici, e ancor più ne avrà «quandosarà congiunto coi numeri et coi suoni musicali et con le voci», ossia nellaforma di canto. Con l'appropriata unione di quegli elementi, è la conclusione,oggi «ancora si possino porre in atto cotali effetti [ ... ] pur che 'lsoggetto sia sempre preparato et disposto». L'esecutore, se ne deduce, cuispetta in quel processo la cura d'esser tramite fra il compositore el’uditorio, assolva tale ufficio senza perdere di vista il delicato equilibriodell'insieme, vale a dire in uno spirito di cosciente fedeltà al testo; e conil suo dissertare austero lo Zarlino par sottintenda che la composizione stessariveli all'interprete zelante la via della sola esecuzione legittima.[26]

 

Non sono forse da ignorare alcuni periodi nelterzo dei Ragionamenti accademicidi Cosimo Bartoli. A quel convegno mancando il Bartoli per essere andato con«certi musici», gli intervenuti (Piero Darica, Lorenzo Antinori e PierfrancescoGiambullari) sono indotti a discorrere di quest'arte.[27] Ribadito com'essa faccia male o bene all'uomosecondo l'animo col quale è praticata, s'avviano a menzionare chi lodevolmentela rappresenti; vengono così celebrati numerosi compositori e taluni dei varigiudizi paiono riflettere l'efficacia di valevoli esecuzioni. Per il Darica leopere del Verdelot, da lui conosciuto «qui in Firenze, [ ... ] hanno delfacile, del grave, del gentile, del compassionevole, del presto, del tardo, delbenigno, dello adirato, del fugato secondo la proprietà delle parole sopradelle quali egli si metteva a comporre»,[28] mentre il Gombert «ha tenuto uno ordine chetutte le parti continovamente cantino con pochissime pose, anzi fugate stretteserrate, inchiodate l'una nell'altra, che vi si sente dentro un certo che digrandezza, congiunta con una armonia che ti dà un diletto meraviglioso».[29]

Purtroppo «nello udir cantare», confessa pocodopo l'Antinori, «io sento talvolta certe voci stonate, sgarbate et il piùdelle volte disunite che mi danno un fastidio maraviglioso»; donde la suapreferenza per gli strumentisti, che avvia il dialogo a una rassegna diesecutori: fra i quali solo il Moschino guadagna elogi di qualche interesse pernoi. «Egli suona di maniera o volete organi o volete instrumenti», sentenzia ilDarica, «et con una grazia et con una leggiadria et con una grandezza congiuntacon tanta ragione di musica, che io credo, anzi tengo per cosa certa che egliabbia pochi pari»; inoltre «ha cantato et canta ancor graziosissimamente et hacomposte molte cose garbatissimamente».[30]

Ma se dal nostro punto di vista il contributo ditali apprezzamenti può apparire discutibile, sicuro si presenta quello d'untrattato quasi sincrono. Se consideriamo le «imperfezioni» di strumenti «etparticolarmente quelle del manco imperfetto, che è l’organo», dichiara VincenzoGalilei per bocca di Fronimo, «ne troveremo molte più e di maggior importanzache nel liuto, tra le quali alcune dir ve ne voglio, con soportazione diAnibale Padovano e di Claudio da Coreggio: e quali non per difetto d'arte, madi natura dell'instrumento non hanno possuto, non possano né potranno esprimeregli affetti dell’armonie, come la durezza, la mollezza, l’asprezza et ladolcezza et consequentemente e gridi, e lamenti, gli stridi et i pianti con tantagrazia et maraviglia come gli eccellenti sonatori nel liuto fanno; e forse chequeste non sono le cause principali che la musica è in pregio».[31]

Il Galilei allude, non v'è dubbio, allapossibilità per il liuto, vietata all'organo, di snelle, capillari gradazionidinamiche; benvenuto il documento, che si congiunge a una certezza suggeritadal buon senso, alleato e non nemico del rigore filologico.

Parecchi anni dopo (nel 1581) lo stessomusicista disserta su un altro aspetto del medesimo tema. Dopo aver fattolanciare dal conte Bardi, nel celebre Dialogo, parecchi strali a «impertinenze» ed «abusi»dei «moderni contrapuntisti», pure per bocca del Bardi l’autore chiarisce aicompositori il dover loro: «Quando, per [ ... ] diporto, vanno alle tragedie ecomedie che recitano i Zanni, lascino alcuna volta da parte le immoderate risaet in lor vece osservino, di grazia, in qual maniera parla, con qual voce circal'acutezza e gravità, con che quantità di suono, con qual sorte d'accenti e digesti, come profferite quanto alla velocità e tardità del moto l'uno conl’altro quieto gentiluomo. Attendino un poco la differenza che occorre tratutte quelle cose, quando uno di essi parla con un suo servo overo l'uno conl'altro di questi; considerino quando ciò accade al principe discorrendo con unsuo suddito e vassallo, quando al supplicante nel raccomandarsi, come ciòfaccia l’infuriato o concitato, come la donna maritata, come la fanciulla, comeil semplice putto, come l'astuta meretrice, come l'innamorato nel parlarc conla sua amata mentre cerca disporla alle sue voglie, come quelli che si lamenta,come quelli che grida, come il timoroso e come quelli che esulta d'allegrezza.Da’quali diversi accidenti, essendo da essi con attenzione avvertiti e condiligenza essaminati, potranno pigliar norma di quello che convenga perl’espressione di qual si voglia altro concetto che venire gli potesse tra mano».[32]

A siffatto impegno nel comporre seguirà quellodell'eseguire, cui ovviamente si addirà il ricalcare classiche orme: «Nelcantare l'antico musico qualsivoglia poema, essaminava primadiligentissimamente la qualità della persona che parlava, l'età, il sesso, conchi e quello che per tal mezzo cercava operare; i quali concetti, vestiti primadal poeta di scelte parole a bisogno tale opportune, gli esprimeva poscia ilmusico in quel tuono, con quelli accenti e gesti, con quella quantità e qualitàdi suono, e con quel ritmo che conveniva in quell'azione a tal personaggio».[33]

Attraverso il mito di cui son pervasi e nondimenticando noi l’indirizzo di cui sono specchio, un pensiero emerge nitido inquei brani: la pagina musicale adempie il proprio destino essendo nonun'imperturbata traduzione sonora di matematici rapporti, bensì un precisoepisodio singolo di umani «affetti» svolto in suoni. Al compositore il crearlo,all'esecutore il comunicarne la virtù.

 

Nel diminuire con gli «stromenti di fiato», ilcolpo di lingua «velocissimo» (detto perciò «lingua di gorgia») dev'essere datovariamente, insegna Girolamo dalla Casa, per rispettivamente ottenere il«proferir dolce» o «mediocre» oppure «più crudo», ossia un diverso spiccodell'arabesco sonoro, e un altro colpo è definito «lingua cruda per sonatoriche vogliano far terribilità».[34] Designato quindi il cornetto «il piùeccellente» degli strumenti a fiato «per imitar la voce umana, tra alcuneistruzioni per ben suonarlo il dalla Casa spiega che lo si adopera «piano etforte et in ogni sorte di tuono sì come fa la voce»[35] e conclude raccomandando «che ognuno tendi albel stromento, alla bella lingua et alla bella minuta et ad imitar più la voceumana che sia possibile»; in altre parole, occorre impiegar le labbra così daprodurre il timbro autentico del cornetto, ben dosare il colpo di lingua, farnel diminuire «poca robba, ma buona, non perder mai di vista il grande modello,mèntore anche, sappiamo, per l'esecuzione espressiva. Nulla del genere annota invece l'autore neicenni sulla viola bastarda e sulla Voce umana.

Il «portar la minuta a tempo» è «cosadifficile», tuttavia «questa è la maggior importanza ad ognuno che facci questaprofessione del diminuir con tutte le sorti de strumenti», egli ammonisce;«dunque ciascheduno avertisca nello studio suo di batter il tempo et di nonstudiar mai senza questo ordine et abituarsi alla battuta; perché facendoaltrimenti non farebbe cosa buona».[36] Tale raccomandazione all'esecutore cui riescadifficile un intimo rapporto col ritmo s'è voluto riprodurla in quanto evoca unquadretto non solo antico.

 

Ex discepolo indegno fu stimato il Galilei dalloZarlino e senza dubbio a tale giudizio contribuì o condusse il Dialogo del toscano. Al severo maestro di San Marco iconsigli galileialù ai compositori e agli esecutori suonarono grotteschi ealcuni amù dopo egli li riprovò con minuti ragionamenti: «I musici non hanno dibisogno di simili azioni, percioché li basta solo quelle imitazioni che sipossono far con la voce et udire col senso, accioché le sue composizioni nonmanchino di quelle cose che da essi imitare si possono; poiché né alla guisa depoeti, né a quella de oratori non lo possono fare. Onde ritrovarono daesprimerle con quello modo che si vedono espresse nelle lor composizioni: dallequali, se bene alle fiate si vedono alcune imitazioni strane, sgarbate etsenz'alcun decoro et senz'alcun sale di buona armonia, ciò non si deeattribuire all’arte, ma all’artefice come poco perito et poco intendente disimil cose. Com’anco s'attribuisce all’oratore poco atto al parlare con maiestàdifetto quando manca nelle sudette azioni, quantunque questi nostri censorimoderni biasimino alle fiate quello che non sanno fare né meno intendono. Nondebbono però per questo i compositori[37] restar di cercare di usar quei modi convenientiche ricerca la materia, con quella maggior grazia et gravità che si può fare;et non sarà inconveniente né errore alcuno, come questi poco istrutti nonintendono: percioché sì come all’oratore nel recitar è concesso, secondo lematerie che tratta tallora, non dirò parlare, ma con alta voce et orribilegridando et esclamando esprimere il suo concetto, et questo quando parla dicose con le quali egli voglia indur spavento et terrore, et tallor con vocesommessa et bassa quando vuole indur coml1serazione, così non è cosadisconvenevole al musico d'usar simili azioni nell’acuto et nel grave ora convoce alta et ora con voce sommessa recitando le sue composizioni.

Diranno forse questi nostri sapienti ch’altracosa è il cantare et altra è l’orare o ringare, et che non sta bene al musiconel cantare ch’ei usi quei modi che usa l'oratore nella sua orazione. Sta bene;questo ho detto anch’io di sopra, onde non dico che 'l cantore cantando debbané gridare, né far strepito, percioché non è cosa ch’abbia né proporzione, nédecoro, ma dico che a lui è concesso, come recitato re in quell’atto, quelloche si concede ai recitatori delle tragedie et comedie: i quali, se bene allefiate non vanno discorrendo con altri, ma parlano soli et da loro stessi diqualche loro pensiero, il quale non bisognarebbe ch'alcuno lo udisse, comequelli che parlano in secreto, tuttavia questo gli è concesso fuori delverisimile accioché i spettatori, tanto quelli che sono lontani dalla scenaquanto quelli che sono da presso, possino udire quello che dicono et intenderela cosa perfetta. Percioché sì come a questi si può dir che non sia concesso intutto la vera imitazione, come sarebbe dire che parlando alcuno in scena da sestesso et non volendo esser udito d'alcun degli altri pare inconveniente, com’èveramente, ch’ei parli con voce alta come s'egli parlasse con un sordo, tantopiù essendoli non più che due passa lontano colui che non vuoI che oda, così sequesto si permette al recitante per il commodo degli ascoltanti si permetteràanco al cantore alcune aziOlù nel cantare che volendo star su'l rigore dellaimitazione a patto alcuno non potrebbono passare. Et perché ogni arte et ogniscienza si chiama meno imperfetta, alla quale mancano meno cose, peròconoscendo i musici moderni che per caminar verso cotale cosa li mancavaquest'azione nell'imitar con l'armonia et coi movimenti (come con cose a loroproprie) le soggette parole, hanno voluto aggiunger all’arte quella sorted'imitazione che usano, per dimostrar quanto arteficio possano usar nelle lorocomposizioni. Ma se i cantori volessero nel cantar loro usar quelle azioni ch'usanoi zanni recitatori de comedie, non so vedere come quelli che li udissero etvedessero si potessero tanto contenere, che non ridessero».[38] 

Intorno alle diverse concezioni manifeste neidue autori vogliamo sottolineare come lo Zarlino ammetta le sole «imitazioniche si possono far con la voce (nelle Istituzioni abbiamo incontrato la regola di evitare«movimenti del corpo» ed «atti o gesti tali che induchino al riso»). Circa ilnostro tema, il passo reca un autorevole riconoscimento al «musico» di potercantare «nell'acuto et nel grave ora con voce alta et ora con voce sommessarecitando le sue composizioni», così come «all’oratore nel recitar è concesso,secondo le materie che tratta tallora, [ ... ] con alta voce et orribilegridando et esclamando esprimere il suo concetto, et questo quando parla dicose con le quali egli voglia indur spavento et terrore, et tallor con vocesommessa et bassa quando vuole indur commiserazione». È un significativorichiamo a varianti dinamiche per traguardi espressivi, sottintese forse, nonperò esplicitamente proposte nell’avviso di interpretare «la natura delleparole» rivolto trent'anni prima.

 

A chiusa delle testimonianze, alcuni braniscelti nello Zacconi. È il primo una ragguardevole notizia sul mutamento che sisarebbe verificato lungo il secolo nei princìpi dell’esecuzione.

«Mi son trovato a ragionare con musici vecchi, iquali in sua gioventù hanno conosciuto famosi cantori di quel tempo etcompositori d'importanza, che cantavano le cantilene come le stavano scrittesopra de' libri, senza porgerli pur un minimo accento o darli qualche poco divaghezza: perché non erano intenti ad altro, né ad altro attendevano che allapura et semplice modulazione, dalla quale non ne poteva riuscir altro che ilsemplice et puro effetto armoniale, cavato per via di consonanze buonediversamente disposte, se bene nel desporle non aveano quelle perfette regoleet osservanze che ora abbiamo noi. E però possiamo dire che gli antichi noncavassero gli effetti musicali suoi se non dalle pure et semplice loroinvenzioni».[39]

Come una rondine non fa primavera, una tendenzacertificata da un teorico può non significare tout court un intero panorama; nel caso nostro, il Cortegiano, il Lanfranco e il Ganassi già si oppongono invario modo alla «pura et semplice modulazione» delle «cantilene»,all’intonazione di queste «come le stavano scritte sopra de' libri, senzaporgerli pur un minimo accento o darli qualche poco di vaghezza». Relativamentevera potremo invece tenere la narrazione dello Zacconi, ossia procedendo nelCinquecento l’eseguire avrebbe nel complesso avvalorato l’aspetto espressivo,in simbiosi col volgere del gusto nel comporre. Egli così ribadisce talipensieri nel capitolo Se i moderni effetti musicali hanno quella forza[ch’]aveano gli antichi (doveper antichi s'intendano polifonisti di passate generazioni ancora fermi a uncontrappunto sgraziato per «errori et sporcizie»: «Si può ben ogni uno da perse stesso immaginare, non solo per l'esperienze quotidiane delle tramutazioni etvarietà delle cose che si cambiano a poco a poco et si mutano, ma anco perl’effetto particulare che producano le musiche da un tempo all’altro, per nondire di ora in ora, che i moderni effetti musicali sieno assai differenti dagliantichi, sì per le musiche et composizioni in se stesse, che sono con alcunistili più vaghi ora tessute, sì anco per li graziosi accenti che i cantori lidanno; et tanto più i moderni effetti sono dagli antichi differenti, quanto chesono dagli errori et sporcizie molto più ben purgati et con più bel ordinedisposti per esser stato i moderni con le regole de' vecchi con grandissimadiligenza et fissa attenzione ad ascoltare che effetto faccino le modulatecantilene quando che da buoni cantori sono cantate. Et fattone di molte esperienze,si tiene che gli effetti delle musiche moderne superano gli antichi perché sonocon più vaghezza et delettazione cantati.

Et qui, quando si cerca degli effetti antichi damusiche produtti, non si cerca de quegli effetti che si leggano in alcuni libriche Orfeo mediante il suono et il canto conducea gli animali insieme adascoltarlo intenti, o d'Alessandro che per il cantar d'uno fu ridotto a pigliarl’arme in mano, perché gli effetti musicali nostri del tempo presentes'intendano per quelli che escano dalle cantilene che ora adimandiamocomposizioni, et non per quelle materie che s'esplicano per via de versi orime. E però facendo comparazione de quegli effetti ch’escano dallecomp'osizioni moderne et quelli ch’escano dalle composizioni antiche, dico chemolto più vaghi sono gli moderni che gli antichi, sì per le ben disposteconsonanze, sì anco per i buoni cantori che le cantano; et si può in ciò farequesta particular esperienza, che tolto dalle mani de mediocri cantori unacantilena et datola in mano de cantori famosi et buoni, quella composizione ciparerà un’altra et non più quella. Per il che possiamo senz’altro concludereche essendo i cantori quelli i quali con le buone musiche raddoppiano glieffetti, che essendo le musiche moderne fatte con buonissime regole et cantateda buonissimi cantori, patroni degli accenti vaghi et delle graziose maniere,che le abbiano molto più forza che non aveano l’antiche: già che i cantori diquel tempo non attendevano ad altro che a cantar bene le loro cantilene et anon fallarle, perché in quello consisteva tutto il loro onore et la lor gloria,come anco oggi giorno la gloria et l’onore di un buon cantore non solo consistenell'esser sicuro cantante, ma anco nel cantar con grazia et accentuatamente».[40]

Infine, due passi che chiariscono alcune«graziose maniere» dei «moderni» esecutori. Dopo numerosi consigli a chi battee a chi ubbidisce il «tatto», lo Zacconi raccomanda «nel allargarlo et nelstringerlo di stringerlo et allargarlo con maniera et modo che non si abbia apor in periculo quel che si canta. Il restante si lascia in libertà di chi l’hada usare et solo si ricorda che chi non ci è atto o non ci ha prattica, per suoonore lo deve lasciar stare, accioché non si ponga a periculo di farsibeffeggiare».[41] Le altre norme riguardano la conformitàdell’esecuzione all’intimo senso del testo musicale: «Deve un cantante inquesto esser avertito, che cantandosi alcune sorte di fughe overo fantasie, pernon rompere et guastar quei bei ordini d'immitazione, di non ritardar verunafigura, ma cantare equale, secondo che vagliano senza veruno adornamento,accioché esse fughe abbino il suo dovere. Sono ancora altre figure, che per leparole non hanno bisogno di veruno accento, ma della sua naturale et vivaforza: come quando si avesse da cantare Intonuit de Celo Dominus, Clamavit, Fuor fuori Cavalieri uscite, Al arme al armeet di molt'altre cose che il discreto et giudizioso cantore le ha da giudicare.Cos per contrario ancora ne sono d'altre, che da se stesse chiamano levaghezze et i vaghi accenti, come seria a dire dolorem meum, misericordia mea, affanni e morte, le quali senza che a’cantori le sienoinsegnate, gl'insegnano in che modo le si abbiano a cantare».[42]

 

Con lo Zacconi finisce il nostro itinerario:alla soglia cioè del periodo in cui prendono ad apparire indicazioni dicoloriti, didascalie per il tempo. Contribuisca la parola degli antichi apersuadere definitivamente che espressiva dev’essere l'esecuzione di nostremusiche del Cinquecento, di volta in volta rapportando al compositore ed allaforma sonora i precetti qui raccolti. Sarebbe un contrastare mulesco non tenerconto di quella verità, poniamo, nel porgere madrigali e rimaner ancorati agelide letture: come si erra interpretandoli con anarchico estro romanticheggiante;sarà invece saggio ispirarsi alle riportate fonti. Il problema da risolvere, dicapitale importanza, essendo quello della dosatura, avverrà di esperimentare,discutere, divergere, contendere circa le scelte, ma ci si adoprerà in cambio sullavia giusta.



[1]      A questo soggetto dedicai l'articolo L'esecuzione«espressiva» nella pratica musicale del '500, in «Musica sacra», anno I (1956), n. 1(gennaio-febbraio), pp. 17-20.

[2]      B. CASTIGLIONE, Il libro delcortegiano, acura di G. Preti, Torino, Einaudi, 1960, lib. n, cap. XIII.

[3]      In realtà Antoine Collabaud di Vitré(Bretagna), cantore alla corte di Ferrara che a volte cortesemente lo cedette aquella di Mantova. Si veda ANNE-MARIE BAUTIERREGNIER, Jacques de Wert, in «Revue belge de musicologie»,anno IV (1950), n. 1-2 (gennaio-giugno), p. 43, dove la nota 14 aggiunge: «Le10 mars 1511, à la requéte de son maìtre de chapelle Marchetto Cara, le marquisde Mantoue demande au duc de Ferrare de lui laisser maìtre Bidon encore cinq ousix jours: il le lui renverra ensuite, mais en attendant, il a grand plaisir àle faire chanter chaque jour à sa chapelle, ce qui contribue à l'entretien desa voix".

[4]      Al cui prestigio nel cantare scopertosu appoggio strumentale si annoda il gusto della corte mantovana per taletrattenimento, come attestano vari ascoltatori; ad esempio, nella lettera incui il 6 novembre 1515 riferisce a Marco Contarini sulla recente sosta presso iGonzaga, Piero Soranzo scrive: «Poi si andò a cena benissimo preparato, e poicena vene in uno camerino Marcheto e un-altro con do laùti,che disse certecanzone che mai si sentì meglio» (Diarii di Marino Sanuto, a cura di F. Stefani, G.Berchet, N. Barozzi, Venezia, Visentini, tomo XXI [1887], col. 282).

[5]      B. CASTIGLIONE, op. cit., lib. I,cap. XXXVII.

[6]      G. M. LANFRANCO, Scintille dimusica,Brescia, Ludovico Britannico, 1533, pp. 112-3.  Nel riprodurre gli antichi testi (solo per i brani delCortegiano e del galileiano Dialogo mi sono valso di edizioni moderne) hoseguito questi criteri: 1. il troncamento di vocale dopo vocale viene indicato,come di consueto, con un apostrofo (ad esempio: a' in luogo dell'originale a nel significato di ai); 2. nelle congiunzionisubordinanti composte non si distingue fra le varie parti (per cui ho scritto accioché, conciosiaché in luogo di accio che, conciosia che); 3. nelle preposizioniarticolate le due parti vengono generalmente unite (esempio: coi per co i); 4. si unificano le grafielatineggianti -ti-(-tti-), -ci- sostituendo il segnodell'affricata (ossia movenza, perfezione, giudizio invece di moventia, perfettione, giudicio); 5. si unificano, secondol'uso moderno, i segni indicanti la velare (esempio: gorgia per gorga); 6. per l'esito di latinismi-x-, -sc- si conserva, là doveattestata, la forma -ss-, -s-(così ho lasciato essempio, nasie, simie); 7. si toglie, seguendo l'uso moderno, la -i- nelle affricate palatali(esempio: procederà in luogo di prociederà); 8. s'è mantenuta intatta l'originale alternanzadelle consonanti doppie e scempie; 9. sono state espunte le h superflue e sostituite lemaiuscole inutili con lettere minuscole, s'è messo ordine nella punteggiatura.Vivamente ringrazio il collega d'Arco Silvio A valle, che amicamente mi haassistito per questa parte.

[7]      L BLASII ROSSETTI VERONENSIS Libellusde rudimentis musices,Veronae, per Stephanum & fratres de Nicolinis de Sabio, MDXXIX menseseptembrio, f. 6r.

[8]      2. S. DI GANASSI DAL FONTEGO, Operaintitulata Fontegara la quale insegna a sonare di flauto [ ... ], Venezia, Silvestro Ganassidal Fontego, 1535, cap. I.

[9]      Ibid., cap. 2.

[10]    Ibid., cap. 24.

[11]    Ibid., cap. 24.

[12]    Nel quale i capitoli dall'1 all'8 trattano ditecnica dello strumento, dal 9 al 22 (ben 142 su 158 pagine del libro) del diminuire, dal 23 al 25 del «sonare artificioso»risultante dalla convergenza di imitazione, prontezza e galanteria.

[13]    Ibid., cap. 25.

[14]    L'originale presenta «peto», ossia una parola diquattro lettere di cui la terza è una righetta alta quanto le vocali; leggo«petto» sembrandomi questa l'interpretazione più probabile.

[15]    S. GANASSI DAL FONTEGO, Regola che insegnasonar de viola d'arco tastada, Venezia, ad instanza dell'autore, 1542, cap. II.

[16]    Duo dialoghi della musica del signor LUIGI DENTICE gentiluomonapolitano [... ], Roma, Vincenzo Lucrino, 1553, f. 29r. e v.

[17]    Credo superflue chiose ai nomi di Gian Leonardodell’Arpa e di Jakob van Wert. Su Pierino di Baccio, fiorentino, nel terzodialogo del Bartoli dice Lorenzo Antinori: «[ ... ] in Roma ultimamente [ ... ]mi piacque grandemente nel sonare il liuto», al che risponde Piero Darica:«Valentissimo certo, et se egli vive mostrerrà un dì che è vero scolare diFrancesco da Milano, ancor che e’ ci è qualcuno che oggi ode così volentier luiet forse più che non udirebbe Francesco suo maestro; et veramente fa nonpiccolo onore alla buona memoria di Baccio suo padre, che sapete quanto eravirtuoso» (Ragionamenti accademici di COSIMO BARTOLI [ ... ], Venezia, Francesco de'Franceschi, 1567, f. 38r.). La quarta persona ricordata dal Soardo potrebbeessere il liutista G. B. Sansone detto il Siciliano che fu al servizio di PaoloIII, papa dal 1534 al 1549 (si veda N. PIRROTTA, Der Papstgottesdienst unddie Entwicklung der Schola Cantorum nell'enciclopedia M.G.G., vol. XI, col. 705). Nelmedesimo dialogo del Bartoli anche il Darica nomina uno strumentista detto «ilSiciliano», suo «amicissimo», celebrandolo però come uno dei più «rari etdivini sonatori dell’età nostra» con altra ragione: «per maneggiare una viola,la ha maneggiata tanto bene, tanto presto, tanto maravigliosamente, et massimein compagnia di uno instrumento di tasti, che non fu mai sentito, né credo sipossa sentire alcuno che gli passi inanzi» (Ragionamenti cit., f. 37r. e v.); ma non èda escludere una multiforme valentia in un solo «musico».

[18]    Su Giulio Cesare Brancaccio, «actor, singer, andadventurer from an old NeapoIitan family», si veda A. EINSTEIN, The ItalianMadrigal,Princeton, Princeton University Press, 1949, alle pp. 479, 480, 826 e 832. Nelsecondo libro delle Villotte del fiore di Filippo Azzaiolo (1559) compare una paginadel conte napoletano De Briaco, in cui secondo il Vatielli potrebbeidentificarsi il «signor Francesco Bisballe conte di Briatico» nominato dalSoardo (F. VATIELLI, Arte e vita musicale a Bologna, Bologna, Zanichelli, 1927, p.48, nota 1). Del noto Scipione del Palla ha recato importanti notizie nuove ilPirrotta (N. PIRROTTA, Li due Orfei - Da Poliziano a Monteverdi [ ... ], Torino, ERI, 1969,pp. 140 e 246-5I), che fra l'altra lo ricorda con Giulio Cesare Brancaccio eLuigi Dentice tra gli esecutori d'una commedia rappresentata a Napoli nel I545(ibid., p.I40).

[19]    N. VICENTINO, L'antica musica ridotta allamoderna prattica,Roma, Antonio Barre, 1555, lib. IV, cap. XXXXII, f. 94r. e v., segnato pererrore come f. 88.

[20]    Ossia il cantante potrà senz'altro diminuire seaccompagnato da strumenti, per la ragione dichiarata subito dopo.

[21]    Il termine «concertare» allude in tal caso allapreventiva intesa degli esecutori circa la maniera d'eseguire la composizione,il che avvalora quanto scrive il PIRROTTA sul significato di quel vocabolo(nell'opera citata Li due Orfei [ ... ), p. 363, nota 74).

[22]    N. VICENTINO, op. cit., lib. IV, cap. XXXI: Delleproporzioni musicali, che a questi tempi da prattici della musica son usate (da f. 87r. a f. 88v.).

[23]    Si veda la nota a p. 375.

[24]    G. ZARLINO, Le Istituzioni armoniche [ ... ], Venezia 1558, parteterza, cap. 45: Che le modulazioni debbeno esser ben regolate et quel chedebbe osservare il cantore nel cantare (p. 204).

[25]    La parola voce mi sembra valga qui, come pocosopra, per «nota».

[26]    Op. cit., parte seconda, cap. 7: Quali cosenella musica abbiano possanza da indurre l'uomo in diverse passioni (pp. 70-3). Il compositoredeve assolvere verso la parola i doveri così enunciati dallo Zarlino: «Non saràadunque conveniente che in una materia allegra usiamo l'armonia mesta et inumeri gravi, né dove si tratta materie funebri et piene di lagrime è lecitousare un’armonia allegra e numeri leggieri o veloci che li vogliamo dire. Peril contrario bisogna usare le armonie allegre et li numeri veloci nelle materieallegre et nelle materie meste le armonie meste e i numeri gravi, accioché ognicosa sia fatta con proporzione [ ... ]». Bisogna inoltre «accompagnare in talmaniera ogni parola, che dove ella dinoti asprezza, durezza, crudeltà,amaritudine et altre cose simili l'armonia sia simile a lei, cioè alquanto duraet aspra, di maniera però che non offendi. Simigliantemente quando alcuna delleparole dimostrarà pianto, dolore, cordoglio, sospiri, lagrime et altre cosesimili, che l'armonia sia piena di mestizia» (G. ZARLINO, op. cit., partequarta, cap. 32; su tale brano ha richiamato l'attenzione R. MONTEROSSO nelloscritto su L'estetica di Gioseffo Zarlino, in «Chigiana»), vol. XXIV [1967], pp. 27-8).

[27]    C. BARTOLI, op. cit., Lo Antinoro overoragionamento terzo,f. 34v.

[28]    Ibid., f. 36r.

[29]    Ibid., f. 36v.

[30]    Ibid., f 37r. e f. 39r.

[31]    Fronimo Dialogo di VINCENZO GALILEI fiorentino [ ... ], Venezia, GirolamoScotto, 1568, p. 30.

[32]    V. GALILEI, Dialogo della musica antica edella moderna,a cura di F. Fano, Milano, Minuziano, 1947, pp. 160-2.

[33]    Ibid., pp. 162-3.

[34]    3. G. DALLA CASA DA UDINE, Il vero modo didiminuir con tutte le sorti di stromenti di fiato et corda et di voce umana, Venezia, Angelo Gardano, 1584(libro I), f. 2V.

[35]    Ibid.

[36]    Ibid., lib. II, f. 1 v. In lettere del 1598 da Ferrara e invarie carte per Cesare d'Este l’organaro e cembalaro Ippolito Cricca, detto ilPaliarino, denomina «pian e forte» uno strumento imprecisato; questa dicituracompare talora sic et simpliciter, due volte seguita dalla frase «con il suo organo disotto» e in un altro caso (lungo un «inventario delli instrumenti di V.Altezza, et organi» rimasti a Ferrara dopo il trasferimento degli Estensi aModena) con questa breve descrizione: «piano e forto lavorato tutto a rabeschiet avoglio con il suo organo sotto» (L. F. V ALDRIGHI, Musurgiana [ ... ], Modena, CesareOlivari, 1879, pp. 25-7; sul Cricca si veda inoltre del medesimo autore: Nomocheliurgografia [ ... ], Modena, AnticaTipografia Soliani, 1884, p. 23 e p. 137). Qui basta rilevare l'interesse diquella misteriosa denominazione ai nostri fini.

[37]    L'autore intende, mi sembra, i compositori che«recitino le sue composizioni», come scrive poco dopo.

[38]    Sopplimenti musicali del Rev. M. GIOSEFFO ZARLINO [ ... ],Venezia, Francesco de' Franceschi, 1588, lib. VIII, cap. XI: Dell'imitazioneche si può far nel comporre et recitar la musica o melopeia (pp. 319-20).

[39]    L. ZACCON1, Prattica di musica [ ... ], parte prima, Venezia,Girolamo Polo, 1592, lib. I, cap. X: Di donde cavavano gli antichi glieffetti suoi musicali(f.7v.).

[40]    Ibid., lib. I, cap. XII, f. 8r.

[41]    Ibid., lib. I, cap. XXXIII, f. 22r.

[42]    Ibid., lib. I, cap. LXIII, f. 56v.