Mauro Uberti

Cantare il Medioevo

Medioevo, I/7, 1997

Poche cose sono evocative come la musica: bastano il suono di un clavicembalo o di uno strumento arabo a trasportarci a volta a volta nell’Europa del ‘700 o nel Magreb di oggi. La musica medioevale non fa eccezione ed ha il potere di ricondurci addirittura in un altro millennio; in più, da attori e non da turisti del tempo, anche perché la musica esiste soltanto nel momento in cui è eseguita e quindi chi la ascolta – ma ancor più chi la esegue – vive, di fatto, nel tempo di quella musica stessa.

Ma che cosa rimane, in realtà, della musica medioevale? Poco o molto, a seconda di quale parte di essa si parli. La storia, si sa, la si fa coi documenti. Niente documenti, niente storia e quando il documento è costituito da un "flatus vocis", come è proprio il caso di dire per quella musica, se qualcuno non l'avrà scritto i posteri non potranno venirne a conoscenza. Ma perché qualcuno impieghi tempo, fatica e denaro per conservare in forma scritta un prodotto dell'ingegno occorre che questo ne sia riconosciuto degno. Nel caso della musica medioevale la decisione sulla "dignità" dei generi musicali fu a discrezione di monaci per i quali la musica profana, che parlava d’amore e magari serviva a far ballare in pericolosa promiscuità uomini e donne, era roba del diavolo. E infatti fino al nono secolo si ha notizia di canti e di balli soltanto da atti ecclesiastici e regi, emessi al fine di perseguitarli e proibirli.

Dovremo arrivare ai trovatori, cioè a "cantautori" che si collocano fra il 1070 e il 1220 circa, perché ce ne vengano conservate le composizioni; ma nel loro caso la dignità era costituita anzitutto dal fatto che fra di essi si trovavano conti e duchi; ne conseguiva, per esempio, che i versi adulterini di Beatriz, che abbiamo letto nel primo numero di "Medioevo", essendo essa, prima che trobairitz, la comtessa de Dia, potevano essere tranquillamente tramandati ai posteri. Comunque fu così che tutta la musica profana del primo millennio, in mancanza di estimatori che la ritenessero degna di impegnarvi tempo, fatica e denaro, andò perduta.

In realtà di quel periodo non venne scritta nemmeno la musica sacra, ma in questo caso l’interrogativo vero è perché essa non lo sia stata; per secoli, infatti, i monaci, che pure ne possedevano il codice di scrittura fondamentale – i nomi delle note rappresentati dalle prime lettere dell'alfabeto – non lo fecero e il dato di fatto è che le prime forme di notazione musicale rimasteci del canto liturgico antico della chiesa cattolica, il canto gregoriano, sono del secolo IX.

Il termine "gregoriano", viene usato per indicare tutto il canto liturgico monodico tradizionale; dello stile ben noto, cioè, anche quando si tratta di melodie composte molti secoli dopo S. Gregorio Magno, il papa (590-604) che intonò canti nuovi e rivide e riunì quelli preesistenti in un Antifonarius Cento costituendo uno dei fondamenti più antichi della liturgia cattolica.

Fatto parte integrante del rito, il repertorio liturgico ha superato i secoli fondamentalmente intero, ma non integro in quanto nel tempo esso subì alterazioni che ne modificarono la fisionomia originale. Nel secolo scorso i monaci dell'Abbazia francese di Solesmes diedero vita a un movimento culturale di recupero dell'integrità del gregoriano, oggi più vivo che mai anche al di fuori dell'ambiente ecclesiastico.

Cosa sorprendente è che i primi documenti utili a tale recupero, più che rappresentare le melodie descrivono graficamente la gestualità del direttore di coro – la cosiddetta chironomia – cioè il modo di interpretarle. E’ l’intuizione relativamente recente di Dom Eugène Cardine (1905-1988), la cui validità viene confermata giorno per giorno dagli studi in corso; studi teorici che pure ce ne stanno dando un’immagine sempre più viva ed attuale. Quanto essa lo sia, ce lo dimostra l’incredibile successo commerciale dei dischi dei monaci dell’Abbazia di Santo Domingo de Silos.

Oggi è possibile fare esperienza di gregoriano senza bisogno di farsi monaci; su Internet, infatti, si scoprono siti di corsi estivi di musica medioevale, per mezzo dei quali chiunque può tuffarsi in quell’epoca attraverso la pratica attiva della musica. In Italia ne propone uno almeno il Comune di Pamparato (Cuneo) – http://www.infosys.it/pamparato – che annuncia la ripresa delle attività del suo peraltro glorioso Istituto Comunale di Musica Antica "Stanislao Cordero di Pamparato", fino al 1990 punto di riferimento internazionale per i cultori di musica rinascimentale e barocca. Quest’anno l’Istituto riapre nella settimana a cavallo fra luglio ed agosto con un 1° Corso di Musica Medioevale, dedicato a "Il canto religioso nel medioevo: il gregoriano e la lauda".

Il termine umbro di "lauda" sta ad indicare un componimento poetico-musicale di argomento religioso e di carattere popolare, che prende vita nel secolo XII e che costituisce la più tipica e schietta espressione di devozionalità dell’Italia Comunale.

Le laude nacquero e si svilupparono in confraternite di laici la cui incombenza principale era quella di cantare in determinate ore del giorno le laudes della Vergine (le Lodi sono la seconda delle otto ore canoniche dell’Ufficio Divino e a quei tempi, dai monaci, erano intonate al canto del gallo). Essi cantarono certamente le laudes del Breviario, ma presto ne composero di proprie, sia in latino che in volgare.

Queste musiche furono poi tipico strumento devozionale delle confraternite di flagellanti che, a cominciare dal 1260, a Perugia, presero a fare pubblica penitenza delle colpe di lussuria, di usura e di eresia. L'accoppiata di musica e sangue è sempre stata una risorsa spettacolare di grande effetto e anche a questo fatto è ragionevole attribuire sia la fortuna della lauda sia quella dell'autoflagellazione rituale, che, come è noto, in certi luoghi si pratica ancora oggi.

Le confraternite dei laudesi provvidero pure a raccogliere e conservare i loro canti in laudari la cui funzione nella storia della pietà e della poesia popolare è di grande rilievo. E' sulla base di questi che oggi è in corso il recupero pratico delle musiche corrispondenti.

Una delle manifestazioni del risveglio di interessi per il Medioevo è certamente il costituirsi di complessi musicali specializzati, ad alto livello artistico e filologico come sono i "Cantori Gregoriani" e "La Reverdie" che terranno il citato corso di canto medioevale a Pamparato, ma lo è pure il formarsi sempre più numeroso di gruppi di amatori che hanno scelto di rivivere quei secoli per mezzo della pratica attiva della musica.

 

Quando nel 1233, l’anno dell’Alleluja, l’Italia viene percorsa dal grandioso fenomeno di rinascita religiosa collettiva che porta quel nome, la lauda è gia pronta e matura come strumento di devozione. Fra Salimbene da Parma nella sua Cronica ce ne descrive un’esecuzione da parte di un certo frater de Cornetta.

"Venne dunque dapprima a Parma fratel Benedetto, che era chiamato Fratel Cornetta...

Costui aveva in capo un cappuccio armeno, portava la barba lunga e nera ed aveva una tromba di bronzo – o forse di oricalco – piccola, alla quale dava fiato; e il suo strumento risuonava in modo a volta a volta terribile o dolce...

Così vestito e con la sua tromba egli se ne andava a predicare nelle chiese e nelle piazze e lodava Iddio seguito da una gran turba di bambini che sovente portavano frasche d’albero e candele accese. Io l’ho visto più volte predicare e lodare Dio dal muro del palazzo del Vescovo quando era ancora in costruzione.

Incominciava le sue lodi in questo modo, dicendo in volgare: Laudato et benedhetto et glorificato sia lo patre. E i fanciulli ripetevano ad alta voce ciò che egli aveva detto. Dopo di che ripeteva le stesse parole aggiungendo: sia lo fijo. E i fanciulli ripetevano cantando le stesse parole. Poi ripeteva ancora le stesse parole aggiungendo: sia lo spiritu sancto. E infine: Alleluja, Alleluja, Alleluja. Infine dava fiato alla tromba, dopo di che si metteva a predicare dicendo qualche buona parola in lode di Dio".

Fratel Cornetta che sapeva cavare dalla sua tromba suoni a volta a volta terribili o dolci, non la usava verosimilmente soltanto per richiamo ma anche per l’accompagnamento delle laude, dato che un così bravo musicista non ne sapeva di certo una soltanto. Che poi il canto venisse accompagnato in genere dai vari strumenti dell’epoca appare chiaramente dalle miniature dei laudari, nelle quali sono rappresentati appunto suonatori di salterio, di viola e di liuto; di tutti gli strumenti, cioè, che appaiono di solito nelle miniature medioevali.